Licenziamento per giusta causa: sentenze della Cassazione
Nello scorso mese di ottobre, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione è intervenuta con tre sentenze sul licenziamento per giusta causa, che si segnalano per il loro interesse.
Nella prima (n.23409 del 6 ottobre), la Corte ha precisato che, ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione non già l’entità del danno patrimoniale, ma la ripercussione sul rapporto di lavoro di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del dipendente rispetto agli obblighi assunti. (Nel caso, il S.C. ha confermato la sentenza della Corte d’Appello di Venezia, che aveva dichiarato legittimo il licenziamento per giusta causa intimato ad una guardia particolare giurata, addetta alla vigilanza fissa presso un istituto universitario, che si era allontanato dalla propria guardiola per 15 minuti per andare a comprare un giornale, pur essendo a lui noto l’obbligo di non uscire dalla struttura).
Nella seconda (n.23694 del 10 ottobre), la Corte ha statuito che, per ritenere integrata la giusta causa, non è necessario che il comportamento del lavoratore sia intenzionale o doloso, posto che anche un comportamento colposo, per le caratteristiche proprie e per il convergere di altri elementi della fattispecie, può essere idoneo a determinare una lesione del vincolo fiduciario, così grave ed irreparabile, da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro. (Nel caso, è stata confermata la sentenza della Corte d’Appello di Roma, che aveva ritenuto legittimo il licenziamento di un dipendente che aveva dichiarato, falsamente, di aver effettuato i controlli su una pratica di finanziamento; in particolare è dichiarato infondato il motivo del lavoratore, che aveva sostenuto che la negligenza è propria della condotte colpose e non di quelle dolose).
Nella terza (n.24014 del 12 ottobre), la Corte ha ribadito che la modesta entità del fatto addebitato deve essere considerata non tanto con riferimento alla misura del danno patrimoniale, quanto in relazione al fatto oggettivo, sotto il profilo del valore sintomatico che lo stesso può assumere rispetto ai futuri comportamenti del lavoratore e, quindi, alla fiducia che l’azienda può nutrire in lui. (Nel caso, è stata confermata la sentenza della Corte d’Appello di Napoli, che aveva ritenuto legittimo il licenziamento di un dipendente di un supermercato che aveva sottratto confezioni di caramelle e gomme – individuate grazie al sistema antitaccheggio – per un valore complessivo di € 9,80).